L’ISOLA DEI TESORI

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 Finalmente le agognate ferie arrivano. Una settimana secca secca a Pantelleria – la cosiddetta Perla Nera – avamposto della cristianità dal 1200, terra di conquista, ora meta di viaggiatori curiosi. Mentre ci dirigiamo all’aeroporto Marconi di Bologna mio marito dice “Sai che nel 2005 ACFT vendette i suoi pollicini a Pantelleria?”.
E da lì comincia la sfida di descrivere una piccola realtà del trasporto pubblico su un’isola dove la viabilità è ridotta all’osso, dove le strade sfiorano i dammusi sgranati lungo i pendii ridisegnati dai muretti a secco e dove quasi tutti possiedono piccole e scassate utilitarie. Invece, sorpresa delle sorprese, i pollicini viaggiano, eccome. Ma la cosa che mi ha stupita sono gli autisti. In un’isola dove il turismo insieme all’agricoltura la fanno da padroni mi aspettavo autisti piuttosto in disordine, tipo bermuda e maglietta. E invece no. Impeccabili pantaloni blu con pinces e piega dritta stirata da amorevoli mani, camicie azzurre a maniche corte con le mostrine recanti il logo aziendale (ACP), tutti ben pettinati, rasati; elegantissimi nonostante l’assenza di condizionatore a bordo. E il servizio è impressionante, praticamente ogni frazione è servita. I pali e le tabelle sono sistemati un po’ dove si riesce, perché qui “carreggiata ridotta” assume un significato molto letterale. Pochissimi gli slarghi dove si possa sistemare una pensilina, ma comunque percorrendo in auto la strada che fa il periplo dell’isola (perimetrale,  appunto) a ridosso degli orari di passaggio dei pollicini, si notano tante persone sgranate lungo il percorso ad aspettare il loro autista. Pantelleria è stata una sorpresa sotto tanti punti di vista, non solo per il servizio di trasporto pubblico. Tanta parte della vita sia dei residenti che dei turisti ruota intorno agli altri mezzi di trasporto che collegano l’isola al resto del mondo. Spesso gli aerei non atterrano o non decollano in orario a causa di una nuvola che staziona sotto Montagna Grande, proprio sulla pista. Ancor più spesso la nave non parte neppure dalla Sicilia a causa del forte maestrale. E’ un luogo dove le condizioni meteo avverse vengono accolte con una scrollata di spalle, non come le tre dita di neve nella nostrana pianura che paiono bloccare ogni attività. Nei sentieri che risalgono le tante cuddie (colline di origine vulcanica) o che percorrono i margini delle colate laviche, il silenzio è rotto solo dal rumore “vetroso” che i nostri piedi fanno sui ciottoli di pantellerite, una roccia di origine vulcanica tipica dell’isola.
Definirla isola è riduttivo, la spiegherei piuttosto come un continente in miniatura. Bellissimi i fenomeni vulcanici secondari, dalle favare alle sorgenti termali alle saune naturali. Si trovano sia nell’entroterra che a ridosso del mare. E il fatto che tutto sia lasciato allo stato naturale, senza nessuna intenzione di sfruttarlo a “livello industriale” crea la sensazione di essere in una mini Islanda mediterranea. Il lago Specchio di Venere, situato in una caldera vulcanica, circondato da una bianca spiaggia e dalla lussureggiante vegetazione fa da contrasto con gli accessi al mare impervi e neri. Al lago si può beneficiare del fango termale che rende la pelle come rinnovata e che fa sembrare i turisti degli allegri “mostri melmosi”. Nuotare nelle sue acque tiepide e ricche di carbonato di soda e di silice fa venire un gran appetito. E anche su questo versante l’isola non delude. Accanto alla già ricca cucina tipica siciliana si trova il pesto pantesco, la busiata (non é una parolaccia), l’origano, la tumma (primo sale vaccino), i baci panteschi (due “cialde di cannolo” con in mezzo ricotta freschissima lavorata fino a renderla una delicatissima crema), le cassatine al forno, i ravioli fritti, ripieni di ricotta o crema. Nei forni, nelle rosticcerie, nei ristoranti e nelle case dei residenti ogni piatto, per quanto semplice, viene esaltato dal fatto che la freschezza della materia prima è l’ingrediente principale. Impressionanti i famosi capperi, che crescono un po’ ovunque e vengono raccolti da mani pazienti, un bocciolo alla volta… E il vino! Il passito come vino da meditazione ottenuto vinificando uva zibibbo fresca, passita e semi passita. Ogni cantina (situata in suggestive località dai nomi arabeggianti) ha le sue percentuali, ma la differenza la fa la zona di coltivazione: composizione del terreno ed esposizione a vento e sole diverso per ogni vigneto, regalano aromi diversi in ogni cantina. E poi il vino da tavola ottenuto dall’uva zibibbo fresca che, incredibile, somiglia nel retrogusto al tanto lontano traminer.

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