Gent.mo Direttore,
nel promettere all’Onorevole Mannino un supplemento di indagini conoscitive e con l’auspicio in un prossimo incontro in sede diversa dalle Sue preziosissime pagine, mi permetto di utilizzare gli spazi del giornale per ulteriori considerazioni.
Il contrattempo occorso al noto lettore ha messo sicuramente in risalto una “criticità” che va aldilà della professionalità ed umanità del singolo operatore e che merita i necessari approfondimenti.
Esiste una vastissima letteratura sul disagio che colpisce gli operatori delle cosiddette professioni di aiuto quali gli infermieri del Pronto Soccorso, professioni che richiedono particolari competenze ed una sicura propensione al rapporto umano ed empatico, professioni con una forte dose di carico emotivo. Nel contesto lavorativo, la principale causa sembra possa essere individuata nei nuovi modelli organizzativi che hanno modificato radicalmente la filosofia delle Aziende, sovvertendone anche i valori. Oggi infatti le Aziende tendono a dare meno importanza ai valori umani rispetto a quelli economici. Se fino agli anni Ottanta le Aziende avevano fra i loro obiettivi, oltre a quello logico di natura economica, anche quello di creare prodotti eccellenti, passando per la valorizzazione delle risorse umane, oggi la gestione aziendale sembra finalizzata esclusivamente al risultato economico e certamente il finanziamento attraverso il mero conteggio delle prestazioni erogate, non aiuta l’umanizzazione. Le chiedo, egregio lettore, quale colpa attribuire all’infermiere cui, aldilà di un possibile difetto di comunicazione, l’eccessiva burocratizzazione impone un comportamento paradossalmente contradditorio con la propria etica professionale, laddove una semplice “iniezione” gli viene impedita da superiori disposizioni legislative, nel momento in cui la stessa non rivesta carattere d’urgenza indifferibile? Ciò esita inevitabilmente in una depersonalizzazione, una mancata realizzazione personale ed infine in potenziale esaurimento emotivo.
Al collega medico che implicitamente ci rimprovera come il Suo operato fosse illuminato dal “Giuramento di Ippocrate”, rispondo che invidio molto il tempo in cui egli esercitava attivamente la professione. Oggi noi siamo giudicati in base al raggiungimento degli obbiettivi che consistono nel non superare la soglia del 10% fra accessi di Pronto Soccorso e ricoveri, l’appropriatezza dei ricoveri (non dovrei ricoverare le patologie croniche, ditemi allora che alternative offro agli anziani panteschi), la contrazione della giornate di degenza (con il rischio di dimissioni intempestive ed inappropriate), la corretta trasmissione dei flussi di attività (che costringe gli operatori a dedicare più tempo al computer che a visitare i pazienti). Chiediamo quindi anche un margine di comprensione e solidarietà.
Dr. Giuseppe Azzaro
nel promettere all’Onorevole Mannino un supplemento di indagini conoscitive e con l’auspicio in un prossimo incontro in sede diversa dalle Sue preziosissime pagine, mi permetto di utilizzare gli spazi del giornale per ulteriori considerazioni.
Il contrattempo occorso al noto lettore ha messo sicuramente in risalto una “criticità” che va aldilà della professionalità ed umanità del singolo operatore e che merita i necessari approfondimenti.
Esiste una vastissima letteratura sul disagio che colpisce gli operatori delle cosiddette professioni di aiuto quali gli infermieri del Pronto Soccorso, professioni che richiedono particolari competenze ed una sicura propensione al rapporto umano ed empatico, professioni con una forte dose di carico emotivo. Nel contesto lavorativo, la principale causa sembra possa essere individuata nei nuovi modelli organizzativi che hanno modificato radicalmente la filosofia delle Aziende, sovvertendone anche i valori. Oggi infatti le Aziende tendono a dare meno importanza ai valori umani rispetto a quelli economici. Se fino agli anni Ottanta le Aziende avevano fra i loro obiettivi, oltre a quello logico di natura economica, anche quello di creare prodotti eccellenti, passando per la valorizzazione delle risorse umane, oggi la gestione aziendale sembra finalizzata esclusivamente al risultato economico e certamente il finanziamento attraverso il mero conteggio delle prestazioni erogate, non aiuta l’umanizzazione. Le chiedo, egregio lettore, quale colpa attribuire all’infermiere cui, aldilà di un possibile difetto di comunicazione, l’eccessiva burocratizzazione impone un comportamento paradossalmente contradditorio con la propria etica professionale, laddove una semplice “iniezione” gli viene impedita da superiori disposizioni legislative, nel momento in cui la stessa non rivesta carattere d’urgenza indifferibile? Ciò esita inevitabilmente in una depersonalizzazione, una mancata realizzazione personale ed infine in potenziale esaurimento emotivo.
Al collega medico che implicitamente ci rimprovera come il Suo operato fosse illuminato dal “Giuramento di Ippocrate”, rispondo che invidio molto il tempo in cui egli esercitava attivamente la professione. Oggi noi siamo giudicati in base al raggiungimento degli obbiettivi che consistono nel non superare la soglia del 10% fra accessi di Pronto Soccorso e ricoveri, l’appropriatezza dei ricoveri (non dovrei ricoverare le patologie croniche, ditemi allora che alternative offro agli anziani panteschi), la contrazione della giornate di degenza (con il rischio di dimissioni intempestive ed inappropriate), la corretta trasmissione dei flussi di attività (che costringe gli operatori a dedicare più tempo al computer che a visitare i pazienti). Chiediamo quindi anche un margine di comprensione e solidarietà.
Dr. Giuseppe Azzaro
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