Un dammuso pantesco con la vista su un tramonto infuocato di fine agosto è lo scenario per una nuova mostra presentata a Pantelleria da sei artisti, che esprimono la loro arte con tecniche e linguaggi molto differenti: foto, pittura, scultura, istallazioni, suono. Paolo Gonzato, Angelo Mosca, Pier Navoni, Franco Rota Candiani, Giancarlo Scialanga e Igor Muroni si sono incontrati a Pantelleria per caso e avvicinando i loro lavori hanno presentato nello studio del pittore milanese Franco Rota Candiani la nuova mostra “Pantelleria: una riflessione sul paesaggio”. L’interesse etico-culturale per il paesaggio, per l’ecologia, per l’ambiente sociale di un’isola, che si presenta con un ambiente di affascinante durezza e con un mare di una cromia profonda e misteriosa, li ha uniti nelle opere esposte. Un incontro tra mare e terra con l’intensità di una ricerca continua verso lo spirito del territorio e di una cultura identitaria originale, che qui ancora sopravvive.
I relitti di legno trovati in mare da Giancarlo Scialanga, oltre all’aspetto antropologico del riuso-corretto, implicano il piacere del tatto e del vedere, quindi immaginare il mistero della loro antica provenienza. Il paesaggio pantesco, le radici etiche e sociali delle sue origini, ricercate da Angelo Mosca e tradotte in una pittura leggera e luminosa, che senza vergognarsi di colori e pennelli, porta i segni di un felice artigianato e di una sospesa poesia. Franco Rota Candiani fa incontrare le sue astratte partiture lineari e gestuali, nutrite di un colore di tonalità mediterranea, con la vegetazione del luogo e il profilo di un dammuso, coniugati con le forme curve, che sono all’origine della storia isolana. La ricerca di suoni e rumori particolari dell’isola, quella di Igor Muroni, artista di aventi fonici, rielaborati e registrati per donare alla mostra un sonoro ed evocativo sottofondo. Da un progetto di clima simbolico parte Paolo Gonzato, che presenta ceramiche raku evocanti il fuoco vulcanico dell’isola, affiancate da disegni figurativi di foglie e di piante locali, che insieme evocano il “tutto” ambientale. Infine Pier Navoni da sempre creativo di immagini fotografiche di cui ricerca l’intensità. Tra gli scatti presenti troviamo un occhio che riflette particolari di palme, le immagini quindi ci suggeriscono qualcosa al di là delle stesse, esprimono il senso che ogni cosa è illusione e spirito dell’anima dell’isola.
Così ci racconta Giancarlo Scialanga: “Il recupero dei "relitti" lignei in mare mi ha sempre affascinato. Sono incontri da altre dimensioni spazio-temporali, che si legano a noi grazie al fluire vitale dell’acqua. Da dove arrivano, e dove arriverebbero se io non li intercettassi? La mia attenzione li sottrae per un attimo al loro vagare, e conferisce loro un’anima, riconosce la loro storia. Un tronco cilindrico con un taglio sbieco e due forti nodi diventa il torso di una Madre Mediterranea migrante, svettante fiera su una tanica blu cobalto probabile riserva di benzina di un gruppo di sognatori pressati dalla storia. Un tronco ramificato diventa animale dolente, forse spiaggiato, dalla molteplice identità: è pesce spada, rinoceronte, delfino, alligatore, squalo….la sua pelle magicamente liscia, perché accarezzata o percossa dal mare invita al tatto lenitivo. Il pesce di bronzo si smaterializza nello specchio della sua superficie. È una grande massa pesante, ma basta una piccola frustata con la punta superiore della coda per farlo fuggire via, verso una sfida all’abisso. Mi misuro con materiali diversi, ma alla fine esiste un solo materiale da lavorare: me stesso.”
I relitti di legno trovati in mare da Giancarlo Scialanga, oltre all’aspetto antropologico del riuso-corretto, implicano il piacere del tatto e del vedere, quindi immaginare il mistero della loro antica provenienza. Il paesaggio pantesco, le radici etiche e sociali delle sue origini, ricercate da Angelo Mosca e tradotte in una pittura leggera e luminosa, che senza vergognarsi di colori e pennelli, porta i segni di un felice artigianato e di una sospesa poesia. Franco Rota Candiani fa incontrare le sue astratte partiture lineari e gestuali, nutrite di un colore di tonalità mediterranea, con la vegetazione del luogo e il profilo di un dammuso, coniugati con le forme curve, che sono all’origine della storia isolana. La ricerca di suoni e rumori particolari dell’isola, quella di Igor Muroni, artista di aventi fonici, rielaborati e registrati per donare alla mostra un sonoro ed evocativo sottofondo. Da un progetto di clima simbolico parte Paolo Gonzato, che presenta ceramiche raku evocanti il fuoco vulcanico dell’isola, affiancate da disegni figurativi di foglie e di piante locali, che insieme evocano il “tutto” ambientale. Infine Pier Navoni da sempre creativo di immagini fotografiche di cui ricerca l’intensità. Tra gli scatti presenti troviamo un occhio che riflette particolari di palme, le immagini quindi ci suggeriscono qualcosa al di là delle stesse, esprimono il senso che ogni cosa è illusione e spirito dell’anima dell’isola.
Così ci racconta Giancarlo Scialanga: “Il recupero dei "relitti" lignei in mare mi ha sempre affascinato. Sono incontri da altre dimensioni spazio-temporali, che si legano a noi grazie al fluire vitale dell’acqua. Da dove arrivano, e dove arriverebbero se io non li intercettassi? La mia attenzione li sottrae per un attimo al loro vagare, e conferisce loro un’anima, riconosce la loro storia. Un tronco cilindrico con un taglio sbieco e due forti nodi diventa il torso di una Madre Mediterranea migrante, svettante fiera su una tanica blu cobalto probabile riserva di benzina di un gruppo di sognatori pressati dalla storia. Un tronco ramificato diventa animale dolente, forse spiaggiato, dalla molteplice identità: è pesce spada, rinoceronte, delfino, alligatore, squalo….la sua pelle magicamente liscia, perché accarezzata o percossa dal mare invita al tatto lenitivo. Il pesce di bronzo si smaterializza nello specchio della sua superficie. È una grande massa pesante, ma basta una piccola frustata con la punta superiore della coda per farlo fuggire via, verso una sfida all’abisso. Mi misuro con materiali diversi, ma alla fine esiste un solo materiale da lavorare: me stesso.”
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